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Un piccolo pensiero....





"L'arte, quella vera, quella che viene dall'anima, è così importante nella nostra vita. L'arte ci consola, ci solleva, l'arte ci orienta. L'arte ci cura. Noi non siamo solo quello che mangiamo e l'aria che respiriamo. Siamo anche le storie che abbiamo sentito, le favole con cui ci hanno addormentato da bambini, i libri che abbiamo letto, la musica che abbiamo ascoltato e le emozioni che un quadro, una statua, una poesia ci hanno dato."
-- Tiziano Terzani, dal libro "La fine è il mio inizio"
da PensieriParole





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Sunday 28 April 2013

La Svizzera chiude le frontiere. Damn.

Sento oggi, alla radio, una notizia come-quasi-circa-shock: la Svizzera chiude le frontiere ai lavoratori extracomunitari, e dell'UE. C'è da dire che il programma radio sembra gestito da una banda di simpaticoni, e la prendo come una battutona (ahahahahah che rrrridere!!!) elaborata a partire dalla panoramica della politica italiana, che da un po' di tempo a questa parte offre colori e gusti sempre più ... ricercati. Ed è proprio di fronte a tali schifi che la mia idea di trasferirmi dal nonno di Heidi si fa sempre più concreta, di giorno in giorno, tanto più che gli svizzeri hanno bisogno di medici, così dicono, io ci credo, ci voglio credere.
Per cazzeggio, dopo quella trasmissione radio, guardo su google se questa battutona ha un briciolo di fondamento o meno, così, per scrupolo. Meglio se non l'avessi fatto .... il fondamento c'è, eccome.
FRONTIERE CHIUSE ALL'IMMIGRAZIONE.
Dopo lo stupore, e la bestemmia mentale, accenno un sorriso, mezzo triste, mezzo ironico: mi viene in mente quando anche l'Italia lanciava questi slogan, fomentati in particolare dal Centrodestra,  "stop agli immigrati, più lavoro per i nostri cittadini!!!" .... Che sarebbe successo a noi, se davvero fossero state chiuse le frontiere dell'occupazione, in quei fine anni novanta - inizio duemila?
 Beh, facile immaginarlo: di certo ci sarebbero state delle accuse di fascismo e di intolleranza. Magari pure di razzismo e di autoritarismo. Insomma, i benpensanti di sinistra, si sarebbero stracciati le vesti. E chi se la dimantica la Boldrini???
Evidentemente in Svizzera non hanno né la Boldrini né la sinistra travistita da comunista, né i salottini radical chic dove l’integrazione è bella se assume la sostanza di un mero esercizio retorico e a sorbirsela è il popolino, mentre loro – i radical chiccheristi – sorseggiano cherry e dissertano di affari e mostre d’arte su poltrone di velluto e nei privè di alberghi a sette stelle, negli yatch al largo della Costa Smeralda, ovvero nei ristorantini esclusivi dove si servono caviale e champagne a fiumi. 

.... Fortunata la Svizzera, dico io; paese che guarda soprattutto ai suoi interessi e agli interessi dei suoi cittadini. I governi sono così democratici che quando non sanno come risolvere un problema o quanto ritengono che la questione è di interesse troppo generale per essere liquidata con un patto tra le segreterie dei partiti, la sottopongono a un referendum. I cittadini votano e scelgono. Il governo esegue, senza troppi patemi d’animo e senza tentare, in qualsivoglia modo, di aggirare il responso referendario; vizietto molto in voga nel nostro paese.
E così gli svizzeri hanno deciso: chiudono le frontiere ai cittadini europei tutti, compresi gli italiani. Dalla mia ricerca, infatti, le autorità svizzere hanno infatti esercitato quanto è previsto nella “clausola di salvaguardia” (stabilita negli accordi bilaterali sulla libera circolazione tra la Svizzera e l’Unione Europea). Conseguentemente – da come si legge nel comunicato – “nei prossimi dodici mesi, i cittadini degli Stati dell’Ue avranno un accesso limitato al mercato del lavoro svizzero“. In altre parole: l’accesso sarà controllato, verificato e l’autorità svizzera si riserverà il diritto di respingere l’aspirante lavoratore alla frontiera.

Il motivo si intuisce. La Svizzera teme le ondate di profughi (europei ed extraeuropei) che potrebbero riversarsi nel suo territorio in modo incontrollato. Non vuole problemi e il lavoro lo vuole preservare per i cittadini svizzeri, che certo non sono esenti dalla crisi economica globale, soprattutto essendo il paese alpino circondato dai paesi dell’Unione Europea. 
Naturalmente Bruxelles ha sollevato proteste, ma gli svizzeri hanno rimandato con eleganza e diplomazia la lamentela all’ingombrante mittente. “Siamo amici e lo resteremo” ha rassicurato Simonetta Sommaruga, ministro della giustizia. Il che significa che amici sempre, ma prima vengono gli svizzeri e poi gli altri. Egoismo? No, semplice buon senso e tutela dei propri interessi, che in questo periodo di crisi si rende quasi necessaria.  azione che di certo il tentennante, instabile, procrastinatore onnigoverno italiano sarebbe incapace di sostenere.

Sunday 24 March 2013

Eutanasia e morte naturale.



Eutanasia: tema discusso, tema tempestoso, tema sempre bollente. Qualche giorno fa è stato l’anniversario della morte di Eluana Englaro, caso che scaldò l’Italia per mesi. Riposto in seguito un lungo passo (lungo, ma ne vale la pena) tratto dal libro “disputa su Dio e dintorni”, chiacchierate tra Corrado Augias e Vito Mancuso, docente di Teologia al SanRaffaele di Milano (http://www.vitomancuso.it/) che dà un parere cristiano, quanto forte e limpido, su questo difficile tema. Segue uno scambio di lettere tra Mancuso e una dottoressa della Rianimazione di un “grande ospedale”, intermediaria per i dubbi e le sofferenze diuna sua (fortissima, ndr), paziente. Questo scambio rende la realtà, concreta, dura, che tantissime persone sono costrette, più o meno direttamente, a vivere ogni giorno, alla ricerca di conforto, ma soprattutto, risposte.


Euthanasie - By Waldenfalke - Deviantart


L’etica della Chiesa è chiamata a servire la vita concreta dell’uomo, non ad aggiungere sofferenze psichiche e spirituali ai dolori già in essa presenti. Accettato questo criterio guida che pone al vertice l’uomo concreto nella situazione concreta, e non una disincarnata fedeltà alla dottrina ecclesiastica, tutto si chiarifica. Vengo alla corrispondenza. Nel marzo 2007 ricevetti una lettera da una dottoressa di un grande ospedale milanese, la quale mi parlava di una sua paziente da molti anni alla presa con una malattia debilitante, causa di dolori sempre più insopportabili, che stava ormai da tempo pensando alla possibilità di farla finita.
Alla lettera risposi così:

Mi scuso se rispondo solo ora, ma solo ora ho trovato il tempo per farlo. Tra l’altro recentemente sono passato vicino al viale… e ho pensato a lei e alla sua paziente. Lei sa benissimo che si tratta di un tema sul quale non ci sono risposte chiare  e valide per tutti allo stesso modo. Il molto parlare che si è fatto del caso ha dimostrato come ci siano ragioni da una parte e dall’altra. Pochi giorni fa ho dovuto preparare un intervento dal titolo “il dolore inutile” e il succo che ne ho tratto è che non esiste dolore inutile.
Nel passato, e presso alcuni ancora oggi, si vedeva nel dolore un mezzo necessario per la salvezza: il dolore necessario come espiazione richiesta da Dio per lavare il peccato. Lei ha visto che rifiuto questa impostazione, come del resto quella quasi blasfema del dolore colpevole, cioè come castigo di Dio. Ma questo, a mio avviso, non significa ritenere che il dolore sia inutile, senza senso. Io penso che dobbiamo pensare al mondo come a un processo in continua costruzione, e alle sofferenze che in esso avvengono come il prezzo necessario per tale costruzione. L’evoluzione del mondo è possibile solo al prezzo della sofferenza, così come il lavoro è possibile solo al prezzo della fatica. E’ la legge intrinseca delle cose, che la maturità spirituale porta ad accettare. Non si tratta di fuggire dal mondo, ma di rimanervi, sapendo che esso ci ha generato e che ancora continua a generarci. Ogni istante lo fa, con l’aria che ci mantiene in vita.
Non ci sono dolori richiesti da Dio, meno che mai ci sono dolori mandati da Dio, come castigo, neppure però ci sono dolori inutili. Chi soffre, come diceva Teihlhard de Chardin, sta sulla linea del fronte in questo processo che si chiama vita. Lo so che possono sembrare parole retoriche, ma io penso che la ricchezza della nostra anima è tale che può giungere a dare un senso a tutte le cose, e che accettare la sofferenza in unione con la sofferenza di tutte le cose del mondo sia un gesto di grande importanza spirituale.
Ovviamente questo discorso non esclude che si combatta il dolore fisico con tutti i mezzi possibili, antidolorifici, oppiacei, di cui anzi l’uso va incoraggiato. Ma smettere di soffrire fisicamente significa cessare di soffrire anche a livello psichico e spirituale? Purtroppo sappiamo che non è così. C’è una dimensione della sofferenza che non sarà mai vinta dalla chimica, che non attiene al corpo ma attiene all’anima, e più l’anima sa, più l’anima soffre. La vittoria dell’uomo sulla sofferenza non sarà ma solo una questione farmacologica. Anche per questo a un certo punto, dopo molti anni, l’organismo e la psiche possono non farcela più, ci si sente svuotati e si vuole farla finita. Per questo dicevo che non ci possono essere risposte preconfezionate. Ma fino a quando si può, penso che non si debba fuggire dal posto in cui la vita ci ha messo. La prego di farmi sapere, in tutta sincerità, l’opinione sua (e se crede della paziente) su quanto ho scritto. Ma solo se mi dice davvero il suo pensiero, senza lesinare le critiche più taglienti. E’ solo così che si cresce nella ricerca della verità. “

Qualche giorno dopo questa fu la sua risposta:

la ringrazio anche a nome della mia paziente, per la sua risposta, che non abbiamo trovato per niente banale. E’ sempre difficile trovare persone come lei che siano disponibili a trattare un tema così attuale come il dolore e la sofferenza ma che tutti preferiscono ignorare. Io faccio fatica ad accettare l’utilità del dolore innocente, anche perché non capisco perché si accanisca con certe persone a volte in modo così curdele. Invece è diverso il punto di vista di C, mia amica-paziente, che mi mandato una mail a questo proposito, dedicata a lei: “ il problema che mi pongo ora non riguarda il senso del dolore, su cui condivido il pieno il suo pensiero. Non lo ritengo utile, fa parte di un mistero che ho imparato ad accettare razionalmente. Da molti anni sono riuscita a superare l’idea terribile e direi inevitabile del dolore colpevole, castigo di Dio, grazie ad un medico antroposofo, e ho anche scoperto la grandiosa figura di Cristo che con l’indottrinamento da me ricevuto mi era stata, direi, sottaciuta. Il sentirmi partecipe della Sua sofferenza per la costante evoluzione della natura delle natura con le reiterate incarnazioni mi ha allora aiutato proprio nel non colpevolizzare Dio. Ma dopo troppi anni il dolore è diventato onnipresente, ossessivo nelle sue variegate forme, il mio unico universo, ormai, senza una fine. E allora uno non si chiede neppure più il senso del dolore, chiede solo la fine del dolore. .. chiede in fondo pietà e misericordia da Dio padre. Dio è amore, ha dato suo figlio e si è ritirato: NON PUO’ intervenire. Dio è amore, mi ama e mi accetta per quella che sono-questa e la costante che continuo a sentirmi dire. Ma se mi ama  e non può aiutarmi, posso andare io da Lui e dal suo Amore, certe che, proprio perché Amore, Lui mi capisce e accoglie?”

la mia risposta alla dottoressa fu la seguente:

“riferisca per cortesia alla sua paziente che io non so cosa dire di fronte alla sua bellissima lettera, se non che ha perfettamente ragione. Capisco bene che si può arrivare al punto di non desiderare altro che farla finita, e arrivare a casa, qualunque essa sia. C’è anche un passo della Bibbia che lo dice: “ Meglio la morte che una vita amara, il riposo eterno che una malattia cronica” (Sir 30,17)
Abbracci forte la sua paziente per me e le dica che le sono vicino e solidale, qualunque cosa essa voglia fare di se stessa. Il Padre è padre e il padre sa. “

Qualche giorno dopo,

“le scrivo per esprimere la mia, la nostra gratitudine per la sua ultima mail. C. è rimasta davvero molto commossa dalle sue parole. Tutti, quando accennava a questi temi, si limitavano, nella migliore delle ipotesi, ad esprimere la loro comprensione. Lei invece è stato l’unico ad andare nel profondo, a farla sentire capita, accolta e “abbracciata”. In questo momento C. sta particolarmente male… e’ anche per questo che faccio volentieri da intermediaria.”

Qualche tempo dopo, ricevetti una lunga lettera di C., quasi una specie di relazione impersonale, senza un interlocutore preciso, di cui riporto alcuni passaggi:

“che sollievo! L’opinione e la solidarietà del signor Mancuso mi avevano dato conferma della misericordia, dell’accoglienza amorosa di Dio padre, certa che capisse le mie motivazioni. Finalmente mi sentivo in PACE, ci poteva essere  una FINE, mi potevo abbandonare con fiducia a Lui, se proprio non ce la facevo più di fronte alla vita. Per più di 40 anni credo, in coscienza, di aver fatto tutto il possibile per accettare e convivere con questa sorte capitatami. Questi ultimi anni, specie questi ultimi mesi… non riesco più a gestire i miei gravi problemi sanitari e pratici, non ho più le forze per accettare un prolungamento indeterminato della situazione. Ho pregato che fosse lui a porvi temine, che non mi indicesse in tentazione … “chiedete e vi sarà dato, bussate e vi sarà aperto”… Niente!
Ma ora mi sento GIUSTIFICATA, CAPITA.
Ecco però riemergere la grande contraddizione della figura del Figlio obbediente fino alla morte…anche se, senza voler essere blasfema, il Suo calvario e morte si sono conclusi in tre giorni…
“prendete la vostra croce e seguitemi” e tante altre Sue affermazioni di TOTALE ACCETTAZIONE mi mettono nuovamente in crisi.
D0altra parte ci sono moltissime sue affermazioni sulla FIDUCIA NELL’AMORE DEL PADRE. E allora?
Mi rivolgo a Cristo, so che Lui è qui, ma non fa niente neanche Lui…
Cosa ne faccio di me? Posso porvi fine senza giocarmi, dopo una simile esistenza terrena, anche l’altra vita?”

Risposi:

“Cara dottoressa, dica a C. che non deve pensare, nemmeno un secondo, che Dio, il mistero personale all’origine della vita e dell’intelligenza, possa rifiutare di accogliere la sua anima nella dimora eterna perché, a seguito di anni di sofferenza, lei vuole farla finita.
Io penso che la sofferenza abbia un valore spirituale immenso, può essere fonte di purificazione per la propria anima e di immissione di energia psichica pulita nel sistema del mondo, ma se uno dopo anni e anni non ce la fa più, occorre semplicemente prenderne atto e anche Dio, anzi, Dio per primo, che legge i cuori nell’intimo, lo fa. Non bisogna mai pensare a Lui con timore, mai. L’amore intelligente e sussistente che lui è, deve essere per noi fonte di sollievo e di gioia, gioia purissima, eterna consolazione. Anche Gesù è caduto vittima della disperazione per un momento (Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”) ma poi è giunto a dire “Padre, nelle tue mani affido il mio Spirito”.. questo non dobbiamo mai stancarci di ripetere, di affidare il nostro più intimo io, lo spirito, a colui che ne è all’origine.
Un abbraccio forte a tutte e due, con affetto sincero.”

Termino dicendo che la signora in cui nome inizia per C continua la sua vita lottando ogni giorno per strappare un po’ di senso e serenità.
Concretamente, cercando di aderire il più possibile alla vita, terribile e bellissima, io penso che:
1)      Il più alto livello della dignità umana consiste nell’esercizio della libertà compresa quella su se stessi. Anzi, prima di tutto quella su se stessi. Quale libertà sarebbe se non si può deliberare su di se? Il senso dell’intera creazione consiste ex parte Dei nella posizione della libertà ed ex parte hominis nell’esercizio della libertà, perché è questo che ci distingue dagli altri esseri viventi, facendoci, noi solo, a immagine e somiglianza di Dio.
2)      Io sono    convinto che si debbano accogliere le sofferenze della vita, usandole per compiere se stessi ed edificare gli altri, contribuendo a portare ordine, armonia e sapere nel mondo. Anche sapere. Già gli antichi greci parlavano di “conoscenza attraverso il dolore”, così come si legge nella preghiera cantata dal coro a Zeus nell’Agamennone. La sofferenza, accettata, conduce alla forma più alta di conoscenza umana, che è la sapienza. Per questo accettare e vivere la sofferenza è una delle più grandi opere che un uomo può compiere, forse la più difficile e la più eroica.
3)      Nessuno deve costringere un altro a soffrire. Ognuno deve scegliere, nessuno può essere costretto. La costrizione ha un nome preciso. Tortura.
4)      Tanto meno può costringere alla sofferenza uno Stato laico, che deve essere la casa di tutti, dove tutti si sentono rappresentati ed accolti.
5)      Quanto alla morte naturale, che cosa vuol dire “naturale”? significa forse non scelta dall’uomo, ma scelta da Dio, nel senso che sarebbe Dio a decidere quando un uomo deve morire?  Si vuole dire con questo “naturale”? io presumo che dietro la dottrina ufficiale ci sia questo modo di vedere Dio, che sia Dio che decide la morte. Bene. Anzi, male, perché qui si apre una voragine: c’è chi muore travolto da un tir per un colpo di sonno dell’autista…morte naturale voluta del Cielo? C’è chi muore annegato in una tempesta marina o sbranato da un cane. Morte naturale voluta dal Cielo? Sono innumerevoli i casi si come si muoia assurdamente a causa della natura, e le pagine dei giornali ne sono piene…e poi ci sono le malattie, anch’esse “naturali”. Quanti sono, lungo i secoli, gli uomini morti di morte naturale a causa della peste, del vaiolo, del colera, della TBC, della difterite, tetano, tutte rigorosamente “biologiche”? E se oggi queste malattie sono sconfitte è solo grazie all’intelligenza umana e all’arte “sacra” della medicina. Oggi si muore di cancro, di Aids, e di altre malattie naturali, ma anche queste, un giorno, verranno sconfitte. Che pensano i paladini della morte naturale a riguardo? Che i ricercatori di oggi che cercano di sconfiggere tali malattie naturali stiano agendo contro la volontà di Dio? (…) se Dio fosse davvero il responsabile della vita e della morte degli esseri umani, io sarei ateo, perché non potrei tollerare che si prendesse così malignamente gioco di tanti di noi.

Tuesday 15 January 2013

Time, Pink Floyd



E’ una storia che racconto spesso, quella della mia insonnia ed iperattività già dalla tenera età di … due anni, e dei fallimentari tentativi di papà di provare, tra tutte le cure, anche i Pink Floyd. Fallimentari, di fronte ai Black Sabbath che mi facevano dormire come un angioletto!
Mi sono resa conto che di solito cito i Pink Floyd solo in questo frangente, non dando  loro il giusto spazio, percui oggi ho deciso di rimediare. Con oltre 200 milioni di dischi venduti in tutto il mondo, i Pink Floyd sono sicuramente uno dei gruppi DELLA STORIA. Gruppo fondatore, quattro amici conosciutiosi, come spesso accade, al college: Waters, Mason, Wright e Barrett.

Riguardo questo gruppo voglio parlare di una canzone in particolare, a me molto cara, o meglio, introdurmi in un viaggio spirituale, nella mente: Time.

Il 1973 è una anno di fibrillazione: i Kiss che si esibiscono nel loro primo concerto a NY, e deglli AC/DC che esordiscono con un concerto la notte di capodanno a Sydney, al cinema esce “Ultimo tango a Parigi”, il film scandalo di Bertolucci. Ma il 1973 è anche l’anno in cui i Pink Floyd pubblicano forse (e nemmeno troppo forse) il loro più importante e famoso album, un viaggio psichedelico nelle aree più libere e sublimi della musica... the dark Side of The Moon.  E’ uno dei dischi più venduti nella storia della musica, oltre a essere il “momento perfetto” di questo gruppo, che dopo l’esplorazione di dischi bellissimi, ma complicati, come AmmaGamma e Athomer’s Mother, riescono a concentrare la loro creatività in nove brani raffinatissimi, ma facili da capire, che di fatto affascinano il pubblico di tutto il mondo. E’ un risultato notevolissimo per la band che più di tutte ha perseguito le orme dei Beatles e ha portato il rock a un livello SUPERIORE.

Siamo a Londra, tra il 1972 e il 1973. Robby Waters arriva negli studi, i suoi occhi brillano della luce di un’idea, un’idea che gli scoppia dentro. Ragazzi, ho un’idea… un album basato sul concetto di ESPLORAZIONE DELLO SPAZIO, metafora di un viaggio nelle aree più remote della mente, la Dark Side ... Con un piccolo, grande pensiero, una dedica,  a Sid Barrett, che non è lì con loro: è stato allontanato dal gruppo un anno prima, perché incapace di gestire ormai i suoi problemi di droga. 
Complesso. Intricato. Affascinante. Waters, Manson, Wright e Gilmert si buttano. Sperimentano, e sperimentano ancora, senza porsi limiti o tabù, assieme al loro mitico tecnico del suono, Parson, e cercano le tecniche di registrazione più avanzate del momento per creare una musica oscura ed affascinante, che mescola al rock anche jazz, blues, voci soul femminili, assoli di fiati, orchestre e voci misteriose in sottofondo. 
Una vera e propria CASCATA di suoni, prodotta e arrangiata alla perfezione, lunga 42 minuti: uno dei viaggi spirituali più belli mai creati dalla musica.
Più o meno a metà di questo viaggio…eccola, è Time. La si riconosce anche senza sapere il titolo, data la magica introduzione pensata ad arte, con la registrazione del tichettìo di migliaia di orologi in un negozio di antiquariato londinese. Una riflessione sul tempo e sull’inevitabilità del suo trascorrere.   
Waters, a 28 anni appena compiuti, riprende, per sintetizzare la sua malinconia (ma non solo la sua malinconia, anche quella di tutta una nazione), le parole del filosofo David Toureau :
“the mass of men lead lives in quiet desperation … our life is frittered away by detail, simplify, simplify. As if you could kill time without injuring eternity”  che nella canzone compaiono così: “ you fritter and waste the hours in an off hand way … you are young and life is long and there i stime to kill today … hanging on in quiet desperation in the English way”.




Time (Tempo)

Scorrono ticchettando gli attimi che compongono un giorno noioso,
tu sprechi le ore percorrendo vie fuori mano
gironzolando per una piccola zona della tua città
aspettando che arrivi qualcuno o qualcosa a mostrarti la via.

Sei stanco di stare al sole o di stare a casa a guardare la pioggia,
sei giovane e la vita è lunga, c’è troppo tempo da ammazzare oggi,
e un giorno ti volti e vedi che dieci anni sono scivolati via,
nessuno ti ha detto quando correre, hai perso il colpo di pistola*.

Allora corri e corri intorno per raggiungere il sole, ma sta tramontando
e facendo il suo giro per rispuntare ancora una volta dietro di te.
Il sole è lo stesso nel suo moto relativo, ma tu sei invecchiato,
il respiro è  più corto e la morte di un giorno più vicina.

Ogni anno diventa più corto, sembra che il tempo non ci sia mai,
i programmi o falliscono o diventano mezze pagine di linee annotate,
Sopravvivendo nella quieta disperazione alla maniera inglese
Il tempo è terminato, la canzone è finita, pensavo di avere ancora qualcosa da dire.

A casa, di nuovo a casa,
mi piace essere qui quando posso,
quando torno infreddolito e stanco
è bello scaldarsi le ossa accanto al fuoco
In lontananza, al di là del campo,
il suono della campana di ferro
richiama il fedele ad inginocchiarsi
per sentire le parole magiche pronunciate dolcemente.

*il colpo di pistola è quello delle gare di atletica, significa che si è persa la partenza.

Sunday 14 October 2012

Sai che c’è? che oggi ti senti a pezzi, e domani pure, c’è che la vita ti tiene stretta la gola e non  ti fa respirare, c’è che tutti i tuoi pensieri e tutti i tuoi ricordi ti uccidono dall’interno, gli occhi che hai guardato, quelli che ti hanno fatto soffrire, le bocche che ti hanno parlato, quelle che ti hanno distrutto il cuore, perchè ti sentivi fragile e gli altri ti colpivano, la mente è debole e si porta dietro quelle ombre maledette, quelle immagini tristi che non avresti mai voluto vedere.

Sai che c’è? che ora il cammino del tuo cuore è rallentato dall’odio e dalla delusione, non credi più a nulla, non parli con le persone, non senti più il bisogno di reagire, la forza di amare e capire, che, quello che hai intorno potrebbe essere migliore, c’è che ora le lacrime sono nere, che lo stomaco si stringe, e che il respiro non esiste, immaginavi una vita diversa, ma ti trovi davanti ad un dipinto che con te, non centra nulla, e tocchi con le tue mani quei colori ormai sporchi, privi di significato, senza profumo, senza luce, chiedendoti nella mente del perchè tu vivi qui ora, e non capisci dove siano finiti i tuoi sogni, i tuoi amori, i tuoi obiettivi, mentre senti questo peso, dietro di te si chiude la porta della vita, rimanendo in questa stanza buia, senza carezze, senza baci, senza amore, perchè la vita ha voluto portartele via, insieme al tuo coraggio.

Sai invece che c’è ora? per davvero? la forza che spingerà il tuo cuore ad essere felice, non lasciare che queste ombre nella tua mente ostacolinò il suo cammino, continua a guardare quel quadro sporco e scuro, ora, con il battito del tuo cuore, con la mia mano poggiata sul tuo petto, mentre lentamente acarezzo il tuo viso, tenta di ricolorare quei luoghi, quei colori che ormai sbiaditi nella tua mente, distruggono la tua anima, ora, con il battito del tuo cuore, e con la gomma del mio amore, cancella quei falsi sguardi, quelle situazioni orribili, cancella quello che ti stà intorno, quelle voci bastarde, quelle sensazioni pesanti, che stringono lo stomaco la notte, cancella, i profumi che ora puzzano e quei cieli vuoti e insignificanti.

Ora quel quadro che hai davanti, deve essere libero di essere ridisegnato da zero, perchè tu sei l’unico essere in grado di disegnare la tua vita, senza lacrime, senza tristezza, perchè il cammino del tuo cuore deve essere circondato da aria fresca, nuova, senza pensieri negativi, senza quella voglia di silenzio e solitudine, la forza che è dentro di te, darà il potere ai tuoi battiti di volare sempre più in alto, evitando di cadere, evitando di strisciare, e sentire il profumo del tuo sangue che muove il tuo corpo e permette al tuo cuore di camminare, fino all’ultima goccia, e quando avrai pieno potere di questo cammino a testa alta, quei sorrisi falsi insieme a quegli sguardi moriranno soffocati con il tuo passato, e terrorizati da te si allontaneranno, per sempre…

Sunday 2 September 2012

Partire, tornare...

"E così alla fine tutti tornano perché riemerge la nostalgia dell’inizio. Tornano quando non ce n’è più bisogno, quando il sole di mezzogiorno ha ormai asciugato l’acqua sulla sabbia del mare, al tramonto. Quando il vento, anziché bussare lieve, spacca i vetri, la notte. Quando è inesorabilmente tardi. Un attimo dopo che ci si è abituati all’assenza, come la luce accesa alle sette del mattino, la felicità che va a giocare d’azzardo e perde tutto per strada. Le persone dovresti amarle quando il loro cuore ne ha il desiderio, e non quando conviene. E se proprio non ce la fai, se non puoi ricambiare questo desiderio, se non le puoi amare, devi lasciarle in pace. Se non si è stati in grado di restare al momento giusto non si deve inventare un momento giusto per tornare. Non si scippano sorrisi in ritardo. Le curve dei sorrisi fanno girare la testa all’amore, quelle dell’arcobaleno incantano l’anima della pioggia fermandola, ma ciò che di prezioso è ignorato si dilegua alla svelta. In un’altra vita ti dissi che a volte il vero coraggio è quello di restare e non quello di andare. Oggi ti dico che c’è sempre un motivo valido per andare, come per restare. E’ la parte che prevale che fa la differenza. Quando te ne vai, però, anche se non lo sai, senza sprecare inutili parole, fai una promessa silenziosa. La promessa che siccome hai scelto di andartene non tornerai."



di Massimo



Thursday 9 August 2012

H (O. P.) E

Misto di felicità e paura che si prova solo di fronte alle cose … GRANDI. Magnifiche quanto mastodontiche.
 
Ricordo quando, al secondo anno, avevo abbozzato a mio papà all’interno del mio interesse per la pediatria, così, dal nulla, una sorta di “ispirazione” per l’oncologia pediatrica. In realtà non era sorto proprio dal nulla come ho appena detto: durante il mio (entusiasmante) tirocinio in clinica pediatrica, ricordo un giorno in cui, fin dal mattino, si annunciava l’arrivo di un piccolo seguito dall’oncologia pediatrica, che sarebbe venuto per una manciata d’ore in reparto, pochi accertamenti, nulla di che.
Mi incuriosiva parecchio vedere questo abitante del misterioso mondo situato qualche piano di sopra, un giardino dai cancelli invalicabili, per proteggere i suoi piccoli, deboli fiori. Così, a inizio giornata buttavo l’occhio nelle stanze per scorgere un nuovo viso, o con qualche scusa uscivo in corridoio per vedere se fosse arrivato proprio in quel momento. Niente. Forse si erano sbagliati. Forse era andato nel suo invalicabile reparto e avevano chiamato di sopra il medico. Presa dalle turbinanti attività della giornata, avevo finito per scordarmene. Verso ora di pranzo, vado in Sala Giochi, per portare la “pozione magica” a una bimba fuggita dalla stanza per guardare i cartoni. Ed eccolo là, con la sua testina bianca, scoperta, mille mila tubetti e l’inseparabile treppiedi a misura di bimbo, gli occhi un po’ infossati nel faccino pallido.  Sembrava un bambino venuto in visita da un altro pianeta, un piccolo principe. Non provai tristezza o particolare compassione ( lì tutti ne avevano una per vincere tubi e tubetti, mascherine e bomboline, garze e fascettine, amici treppiedi), e il suo sorriso, mentre stringeva il telecomando bianco della Wii, suscitava piuttosto una commossa tenerezza. Chissà se ora sta meglio.
La reazione di mio papà, che sempre davanti alla parola “tumore” od “oncologia” si incupisce come se lo si invitasse al funerale, fu sorprendentemente di stupore. Lessi questa reazione come un “Ne ha trovata un’altra da sparare oggi”. Invece, quando gli annunciai l’inizio della frequenza del reparto di chirurgia generale, la memoria estremamente selettiva per le informazioni importanti gli fece dire: “Ma tu non dovevi fare oncologia pediatrica???” No… O forse si. 
E’ quel timido “forse”, che vuole smorzare emotività, responsabilità e una marea di domande, che mi porta, qualche anno dopo, davanti al cancello invalicabile del giardino segreto.
Su tutte e tre le porte c’è una grande stampa, intimorente, VIETATO L’ACCESSO: so bene quanto sia difficile entrare in una specialistica di pediatria, media impeccabile, curriculum splendente, e ancora non basta. Io non sono questa persona eccezionale da poter essere un aspirante candidata all’entrata in specialistica. Essere eccezionali significa rinunciare a tutto tranne un’unica cosa, assoluta. E io sono fatta di infinite cose, mi è molto difficile, se non impossibile, essere eccezionale.
 
Mentre osservo la porta, scoraggiata, cercando di decidermi sul da farsi, esce una signora bionda e il suo bambino, dieci anni forse: abbronzato, è stato al mare. Capelli biondi. Un bellissimo bambino, che forse gioca a calcio, è bravo in matematica, ha un gatto che si chiama Dado … e un accesso a metà del braccio. Guardo ora la signora, ora la porta, come un cane educato che deve uscire immediatamente per bisogni personali. La signora mi guarda in modo interrogativo, non penso siano molti i ragazzi che fanno una siesta su quel pianerottolo. Così le chiedo: “C’è un'altra strada per andar dentro?”  c’è una scorciatoia?ci sono vie alternative per superare questo blocco? Sono quasi sicura mi stia per indicare una strada intricata o un campanello nascosto per suonare a un’infermiera che non aprirà mai. E invece è molto semplice: si passa di là. Basta non girare a sinistra ed andare nella sala giochi. Chi stai cercando? Il primario. Allora aspetta in sala giochi, là qualcuno verrà, prima o dopo.  Magari il primario stesso. La sala giochi è disordinata, ci sono tremila foglietti, disegni e cartelloni appesi, abbastanza per scacciare la noia attendendo che qualcuno passi di là…invece ne guardo a malapena uno che la signora, la mia Beatrice, entra di nuovo e mi indica una porta: “Quello è il suo studio, prova a bussare!”

Ed eccomi con un primario che se la ridacchia, perché sedendomi ho sbattuto contro la sua scrivania facendomi un male cane, con tanta curiosità quanto incoraggiamento verso questa mia “presa di posizione”, questo tentativo che faccio nel capire cosa sono e voglio essere. Vedo stanchezza nei suoi occhi, e la tenerezza di un nonno, alla fine della professione, che vede chi si affaccia appena a tutto il mondo che lui ben conosce. La media? Claudicante. Gli esami? Mi mancano i più importanti. Tesi? Boh, con calma.
L’ho detto sopra: non sono la studentessa brillantemodelloinvincibile. Ma non importa, sorride, si alza “Ti faccio vedere il reparto?” Scusi, non ho capito. Il reparto? La zona a sinistra, l’ala ovest della Bella e la Bestia?!!! Certo che voglio!!! Mi alzo a molla e prendo un’altra botta, sullo stesso posto della gamba e sullo stesso stipite di prima. Lui per fortuna non vede e non sente il mio ri-ouch.
Un’infermiera riccia esce da una stanza, saluto, e la ritroviamo poco dopo. Mi presenta, e lei non sa che faccia fare di fronte a una tirocinante volontaria: “La bruciamo fin da subito!” Dice in tono scherzoso ma non troppo al primario. Io abbozzo un sorriso comprensivo della sua perplessità, che è sicuramente quella di molti, di fronte alla mia volontà di cacciarmi nel reparto in cui la sofferenza dei bambini è ritenuta massima, dove muore chi meno dovrebbe, dove forse più si mette in discussione l’esistenza e la bontà di Dio, dove il coinvolgimento emotivo e la tristezza sembrano essere massimi. Che motivo ha un bambino innocente, candido, di ammalarsi di un male tremendo, vedere gli anni in cui dovrebbe danzare leggero come una farfalla costretto a letto, lottando per sopravvivere, quando invece la vita dentro di lui dovrebbe scoppiare come una stella che nasce? Come tollerare questo?
Il discorso qui si fa complesso. Ed è il motivo per cui ho solo sorriso all’infermiera e lo spiego solo se mi viene chiesto insistentemente: comunemente, si dà per scontato che la sofferenza si unica, universale, si spenda per tutti e allo stesso modo solo di fronte a talune scene, a certe situazioni “convenzionate”. Ma non tutti piangono o soffrono allo stesso modo di fronte alle immagini al tg di una guerra in Medio Oriente: il mio vicino di casa, che aveva combattuto la Seconda Guerra mondiale e era stato fatto prigioniero, non ne tollerava la vista e si allontanava dalla tv. Non tutti soffrono allo stesso modo vedendo un gatto investito per strada: chi non ne ha mai avuto uno, o non ama gli animali, può sentirsi meno coinvolto. Non tutti abbiamo le stesse esperienze di vita e la stessa sensibilità. Fortunatamente.
Io, personalmente, soffrirei molto di più in un reparto in cui sono ricoverati da chissà quanto dei poveri vecchietti, affetti da mille mila malattie, che si peggiorano l’una con l’altra, la lista di farmaci sulla cartella è infinita, e i dosaggi rivisti e riequilibrati anche più volte al giorno. E’ un vecchietto che spesso non sa più mangiare, da tempo convive con i suoi escrementi finchè qualche buon anima non gli cambia il pannolone, non può uscire a controllare l’orto o comprarsi il giornale, e ogni giorno in più che vive è un amaro confronto con i bei tempi andati e un’altra manciata d’ore che gli vengono date, in qualche modo, per fare … cosa? Soffrire? Sonnecchiare senza dignità, aspettando la fine del giorno, o dei giorni? Alcuni nemmeno si rendono conto di ESISTERE, la loro VITA li ha lasciati da tempo. Sono parenti, figli, e leggi confuse o del tutto inesistenti che nessuno si prende la briga di chiarire, che impediscono li lasciare queste persone al corso naturale degli eventi. L’incapacità del nostro mondo, della nostra epoca di definire cosa sia la vita, il declamare quanto sia importante e divina, per poi calpestarla nella sua essenza più vera. Cos’è la vita? Una valanga di giorni o un singolo sole inghiottito dal mare,  visto abbracciata alle colonne di un tempio greco? Uno sterminio di pioggie o un solo feroce temporale, che ti coglie nella foresta? Infiniti sonni o un’unica notte, con un cielo infinito disseminato di stelle splendenti?
Questi bambini sono come i fiori che si seminano in primavera. A volte si becca una stagione perfetta e crescono rigogliosi, profumatissimi e coloratissimi, uno spettacolo e una gioia per gli occhi. Altre volte capita un’inaspettata gelata, un fastidioso pidocchio, e la piantina china i suoi germogli, e si retrae. Ma contiene ancora in sé il potenziale fiore esplosivo e bellissimo, occorre curarla più delle altre, con prodotti specifici, e sperare che si riprenda. Poi darà il fiore più bello di tutti. E quando verrà l’inverno, saluterò il fiore, che a poco a poco appassirà, e per ogni petalo lo ringrazierò per essere stato così bello in estate.
Invece sembra che la tendenza sia di preservare il fiore durante l’inverno, contro natura, questo sarà raggrinzito, col capo chino, pallidi i petali e le foglie ingiallite, brutto, penoso. Ma non importa, basta avere il fiore nel vaso, d’inverno. Il fiore non tornerà alla primavera, perché tanto accanimento?
 
Attenzione, non fraintendetemi: non sto dicendo che i vecchietti vanno lasciati morire e che il medico interno è un lavoro insensato. Anzi. Ho grande stima di queste persone che accompagnano i nostri, sempre più numerosi nonni, proprio perché io non lo saprei fare: soffrirei e mi sentirei inadeguata, insoddisfatta.  Nel lavoro pediatrico trovo più motivazione e più grinta, vedo un valido motivo dove impegnare le mie energie e le mie speranze, sento che è in questo campo che c’è bisogno di me, senza nessun intento caritatevole, se non quello di fare quanto possibile e il meglio che il mio “lavoro” (le vecchiette mi dicono sempre “no l’è un lavoro l’è una mission!!! …. Quanta saggezza!) mi permette.
Sorrido all’infermiera, messa un po’ in subbuglio dalla mia presenza: è un sorriso che vuol dire “ sono già a mio agio”.
"Riempitevi di speranza, voi che entrate", significa quel grande divieto di accesso alla porta.

La speranza è come una bolla di sapone. Sii delicato, non stringerla troppo, potrebbe rompersi.

Sunday 5 August 2012

Come una tartaruga.

Pffffffffui! Eccomi qua, di ritorno dalla scampagnata in Spagna, nemmeno 24 ore per tastare con i piedi per terra, respirare, stropicciare gli occhi e dire “Urca, sono di nuovo in Italia!” che già sono con la testa, anzi, con il corpo perché quella sta ancora a Barcellona, nella mia routine, a pulire casa, svuotare la lavatrice in valigia, tutto con uno stuolo di appunti disseminato per tutta la casa e qualche libro qua e là che fa da pietra miliare nella mio tornado di cose da fare.


"Matter of time" Ione Momo, Deviantart
Non ho tempo. E alzi la mano chi ne ha. Che se le prende da tutti gli altri!

Quante volte dico che sono così tanto impegnata da non riuscire a fare una telefonata ad un amico, da non poter andare a vedere la mostra del mio pittore preferito, sentire un concerto, vedere un film con gli amici. RIMANDARE. Accumulare cose e cose da fare per poi rendersi conto di averne accumulate così tante che alcune sono perse… e su altre siamo oramai fuori tempo massimo.


Le attenuanti che ci diamo? E beh… ho sempre uno stuolo di esami e quando non ci sono quelli la palla passa a lezioni e tirocini, una  carriera da dover percorrere, la posizione sociale, tutte le bollette da pagare e quando e se si riesce anche il lavoretto a tempo perso per fruttare due soldini… E dato che so di essere in buona compagnia, si sa, mal comune mezzo gaudio, questa è l’attenuante più forte di tutte, tutti abbiamo la comprensione di tutti perché tutti abbiamo lo stesso problema. A cui si dovrebbe, in quanto problema, almeno abbozzare una soluzione.

Qualche giorno fa mi è capitato di leggere un pensiero di Pema Chodron, una monaca buddista. E’ il primo incontro che  ho con questa donna, ma mi ha molto colpito, per la sua semplicità e leggerezza quanto per la verità forte quanto una pietra scagliata. Credo sia utile per tutti riportare il suo pensiero in questo post.
Eccolo:

” Se sapessimo di diventare ciechi la prossima notte, dedicheremmo gli ultimi sguardi a ogni filo d’ erba, ogni goccia d’ acqua, ogni grano di polvere, …ogni cosa”.

E se ogni tanto ci fermassimo a rileggere questa frase? Se ce la scrivessimo, come ho fatto tante volte con dei pensieri trovati nei libri o scritti in giornata da qualche amico di face book, che appuntavo su un foglietto sgualcito nel portafoglio, e che ogni tanto, quando sono giù di morale tiro fuori e vado a rileggere?
Il tempo non è infinito. Ce ne è stata consegnata, regalata… forse, e credo che per quanto sto vivendo, sia più proprio dire “affidata” una certa  quantità: nessuno di noi sa quanta! E ogni giorno  che passa la nostra dotazione di tempo diminuisce… si esaurisce.

So bene cosa significa vivere, studiare, lavorare, e cercare di incastrare passioni e amicizie, so bene cosa sia il vortice dei ritmi feroci e soffocanti che trascina appena molliamo la presa.
Ogni tanto però perchè non ci prendiamo una pausa? Che può voler dire anche solo RALLENTARE senza fermarsi, come una tartaruga.  Respirare a fondo un profumo. Assaporare il calore del sole, come un bacio. Osservare, guardare … Così sdraiati a faccia in su  a guardare il cielo, le nuvole che corrono, forse anche loro con un vortice di pensieri, senza dover arrivare alla “comune meta finale” e non aver mai  davvero guardato le stelle  come la tartaruga di Trilussa … mica uno a caso!

Mentre, una notte, se n’annava a spasso,
la vecchia tartaruga fece er passo
più lungo de la gamba e cascò giù
co’ la casa vortata sottinsù.
Un rospo je strillò: Scema che sei !
Queste so’ scappatelle
Che costeno la pelle…
Lo so -rispose lei -
Ma prima de morì vedo le stelle!

Bellissima!!!!!!
La vita è nostra, ci dice la tartarughina: siamo noi a doverne governare le redini, gestire ogni granello della sabbia che scorre nella nostra clessidra nel migliore dei modi. “Migliore” a seconda del NOSTRO giudizio, non dell’altrui o di imposizioni sociali o comunque a noi esterne: il dovere, a volte, è una scelta di comodità, per non attribuirci la responsabilità di aver sprecato del tempo.